La polemica sui tagli della spending review all’università ha toccato nuovamente il problema dei fuoricorso. Nuovamente, perché già alcuni mesi fa se ne era parlato in seguito alla frase del viceministro Martone che definiva sfigato chi a 28 anni non è ancora laureato. Questa volta è il ministro Profumo che parla esplicitamente dei quasi 600mila studenti che non hanno completato il ciclo di studi nei tempi previsti dall’ordinamento universitario come di un «problema culturale» dell’università italiana. «I fuori corso all’università – dice il ministro sul Corriere – esistono solo da noi e bisogna cambiare rotta». In effetti la media di età dei neolaureati italiani è superiore alla media europea. E nonostante questo, l’Italia ha ancora meno laureati degli altri stati europei, e quelli che giungono a questo traguardo ci arrivano più tardi rispetto ai loro coetanei, anche se gli ultimi dati dei laureati post-riforma sono incoraggianti.
Che laurearsi tardi sia un problema è ormai accertato da tutti. Ma su dove stiano i motivi di tale ritardo e come si debba procedere per avvicinarci agli standard europei non non vi è omogeneità di vedute. Per gli studenti è chiaro: le tasse troppo alte che costringono molti studenti a fare un lavoro in nero per mantenersi agli studi. Le stesse tasse che ora il ministro vorrebbe (dare la possibilità di) alzare ulteriormente per chi non è al passo con gli esami, come leva economica per limitare il numero dei fuoricorso.
La soluzione del ministro potrebbe anche funzionare, ma siamo sicuri che sia quella giusta? Un problema culturale, per usare le parole del ministro, difficilmente si risolve solo aumentando le tasse. Ci sono caratteristiche specifiche dell’università italiana che hanno facilitato questo numero abnorme di fuoricorso e che non sono mai state toccate in tutte le riforme che si sono succedute negli anni. Sono consuetudini come quella di poter rifiutare un voto perché non si è soddisfatti oppure – risvolto della stessa medaglia – poter dare lo stesso esame più e più volte in attesa dell’agognato diciotto. Pratiche che esistono solo in Italia, retaggio di un’università e da una società molto diverse da quelle che abbiamo ora, ma che manteniamo, nonostante abbiamo adottato nel frattempo il sistema dei crediti e il 3+2, con riforme tanto osteggiate ma che hanno portato finalmente anche la nostra università in Europa.
Poi, certo, c’è una didattica che non funziona come dovrebbe, anche per i tanti tagli che l’università ha dovuto subire in questi anni. Corsi affollati, sempre meno ore di lezione contribuiscono a rendere il nostro percorso universitario più lento e soggetto ad intoppi rispetto agli altri paesi. E quando vengono introdotti modalità per renderlo a forza più lineare con strumenti come la propedeuticità, l’obbligo di frequenza, le prove intermedie, gli appelli unici, questi non sempre vengono accolti bene dagli studenti, e spesso anche dai docenti.
Perché in Italia si pensa che andando all’Università ci si possa finalmente liberare di tutte le consuetudini tipiche della scuola, come l’appello alla mattina, i compiti a casa e le interrogazioni durante l’anno. L’Università da noi è una cosa da grandi e dà finalmente autonomia allo studente, che è libero di scegliere i corsi da fare e i voti da mettere sul libretto. Con il risultato, però, che con tutta questa libertà, ci laureiamo più tardi che negli altri paesi, dove l’università è molto più simile ad un liceo per quanto riguarda l’organizzazione della didattica, con scadenze lungo l’anno, midterm, richiesta di partecipazione in classe ecc…
Di certo non sono i lavoretti della sera o del weekend che impediscono ad uno studente mediamente bravo e diligente di laurearsi in tempo. Li fanno gli studenti di tutto il mondo per mantenersi, anche in paesi con costi della vita molto più alti dei nostri. E chi ha invece un lavoro che lo impegna a tempo pieno, può chiedere lo status di studente lavoratore, con la conseguente diluizione del percorso di studi su più anni.
Il concetto di fuoricorso è innato al nostro modo di concepire l’università, questo è il problema di fondo. Un modo che essere anche più giusto dell’altro, ma che di sicuro è fuori dal mondo.